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lunedì 23 dicembre 2013

Una pedagogia per la Scienza e la Tecnologia

(...) La via, per la pedagogia, è quella della formazione. Occorre cioè che essa assuma un impegno formativo almeno in due direzioni. La prima riguarda il possesso di conoscenze e competenze relative ai codici linguistici e simbolici della scienza e della tecnologia. Se lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle realizzazioni tecnologiche hanno modificato le condizioni dell'esistenza umana (e, insieme, l'immagine che l'uomo ha di sè stesso), allora non è possibile prescindere da elementi di conoscenza scientifica e tecnologica per comprendere il senso di queste modificazioni e per compiere, rispetto a queste, scelte consapevoli. La seconda direzione riguarda invece la dimensione della riflessività, ossia la possibilità di guadagnare capacità critiche e interpretative in modo che le decisioni che siamo chiamati a compiere non siano solo il riflesso dell'adesione a principi etici o morali (in base ai quali, teoricamente, ogni opzione è giustificabile) ma il risultato di un "agire in situazione" che reclama la messa in relazione dei fatti con la valutazione delle condizioni e delle conseguenze ad esse pertinenti.
Dunque, formazione scientifica e formazione tecnologica rappresentano (o dovrebbero rappresentare) un obiettivo formativo. Ciò non significa necessariamente aumentare la quantità di sapere scientifico e tecnologico, ma restituire a questi saperi significato culturale, anzichè solo strumentale. Ossia indipendentemente dal fatto che "servano" a produrre qualche cosa in particolare, sapere scientifico e sapere tecnologico devono fare parte di quel substrato generale in base al quale formuliamo i nostri giudizi e compiamo le nostre scelte.

da Berta Martini, Formare ai saperi, FrancoAngeli (pp.59-60)

domenica 22 dicembre 2013

Scienza e tecnologia, insieme anche a Scuola


Da qualche tempo sostengo la necessità e l'urgenza di rivedere l'impostazione secondo cui nella scuola di base, in particolare mi riferisco alla scuola primaria e alla secondaria di I grado, la scienza e la tecnologia costituiscono due insegnamenti distinti e separati. Insegnanti distinti, curricoli distinti, valutazioni distinte. In sostanza ritengo che ci siano diverse buone ragioni per un cambiamento, cioè per introdurre nel sistema scolastico italiano, come nuova materia di insegnamento, “Scienza e Tecnologia”.

Le ragioni di questa opportunità derivano da alcuni fenomeni e da alcune situazioni di contesto che per esigenze di sintesi si possono condensare in tre aspetti.

1) Primo aspetto: la percezione pubblica dell’impresa scientifico-tecnologica.

Uno dei luoghi più significativi, certamente il più emblematico, in cui l'impresa scientifico-tecnologica si compie effettivamente è il laboratorio di ricerca. All’interno di questi particolari ambienti di lavoro ha luogo un’attività di ricerca di regola orientata e finalizzata alla risoluzione di qualche problema estremamente concreto, per il quale ogni distinzione tra attività scientifica e attività tecnologica appare forzata e comunque poco utile. Da almeno 10 anni si è quindi affermata una visione dell’impresa scientifico-tecnologica come di un processo articolato ma unitario, in cui è sempre più difficile (e sempre meno utile) tentare di individuare quegli elementi che possono essere riferibili con sicurezza all’uno piuttosto che all'altro dei due ambiti, quello della scienza e quello della tecnologia.

2) Secondo aspetto: la formazione dei potenziali insegnanti.

I piani di studio di corsi di laurea come Biologia, Chimica, Fisica, Scienze Naturali, Ingegneria e altri prevedono insegnamenti sia nell'ambito delle cosidette “scienze pure” che in quello delle cosidette “scienze applicate”, assicurando una formazione e una preparazione adeguata ad un eventuale insegnante di “scienza e tecnologia”. Ne consegue che un accorpamento disciplinare tra scienza e tecnologia consentirebbe una razionalizzazione dei percorsi ammissibili per accedere all’insegnamento nonchè una maggiore efficienza nel processo di preparazione dei futuri insegnanti. Ormai molti percorsi di studio universitari preparano di fatto i giovani su un’ampio spettro di discipline e assicurano loro una sufficiente padronanza, pur con una inevitabile selezione e specializzazione, dell’intero ambito disciplinare scientifico-tecnologico.

3) Terzo aspetto: un rinnovato approccio epistemologico.

Negli ultimi anni si è affermata una visione epistemologica unitaria e comune della pratica professionale scientifica e tecnologica. Molte discipline di studio - la sociologia, l'antropologia, la storia della filosofia, l’etica, la teologia - hanno considerato l'attitudine umana che sostiene e che alimenta l’impresa scientifico-tecnologica come qualcosa di essenzialmente unitario, all’interno del quale la tradizionale distinzione tra dimensione scientifica e dimensione tecnologica è stata gradualmente abbandonata. Si è così affermato e consolidato un approccio disciplinare unitario alla scienza e alla tecnologia, soprattutto nell’ambito dei cosidetti science and technology studies, come testimoniato dal crescente utilizzo in svariati contesti del termine tecnoscienza.

lunedì 9 dicembre 2013

Medicina e didattica tra pratica e ricerca


Il medico e il ricercatore pur occupandosi di una stessa malattia o patologia lo fanno perseguendo generalmente obiettivi abbastanza diversi. Per il medico la priorità è quella di accompagnare il suo paziente alla guarigione o ad un miglioramento del suo stato di salute, avvalendosi di una o più terapie di comprovata efficacia; per il ricercatore la priorità è comprendere più accuratamente ogni aspetto di quella data patologia e individuare quale terapia garantisca i risultati migliori per la generalità dei pazienti. Per il medico quindi al centro dell'attenzione c'è la persona del paziente e la sua specifica condizione ed è fondamentale la relazione che con lui si viene a creare. Per il ricercatore invece al centro dell'attenzione c'è la particolare patologia indipendentemente dal paziente che la manifesta ed è fondamentale, prima ancora della guarigione del paziente, l’accrescimento di conoscenza sulla malattia che può essere conseguito, a beneficio evidentemente - anche se non immediatamente - di un numero molto più ampio di pazienti, che sono però pazienti in un certo senso “virtuali” diversamente dal paziente “reale” portatore, lì e in quel momento, della patologia. Naturalmente la medicina necessita di bravi medici come di bravi ricercatori. Esistono certamente esempi di eccellenti medici che hanno dato significativi contributi alla ricerca medica come di brillanti ricercatori che si sono anche distinti per notevoli capacità mediche.

Quello che vale nel campo della pratica medica può valere essenzialmente anche nel campo della pratica didattica. Il sistema dell'istruzione necessità sia di buona pratica didattica sia di buona ricerca didattica. Nel ruolo dell'insegnante si compongono e si fondono entrambe le dimensioni, della pratica didattica e della ricerca didattica; la prima relativa soprattutto alle attività cosidette “in presenza”, a contatto diretto con gli allievi; la seconda relativa prevalentemente alle attività che precedono o che seguono la lezione: attività di programmazione, di progettazione, di documentazione come anche di formazione e di aggiornamento.

L’opinione di chi scrive e che tra le due componenti si debba stabilire, per la migliore qualità ed efficacia di ogni intervento educativo o formativo, un adeguato bilanciamento. Ci sembra al contrario che in molti contesti scolastici si stia progressivamente rafforzando la componente della pratica didattica (lezione, interrogazione, verifica, ecc) a scapito della seconda componente, quella della ricerca (progettazione, sperimentazione, documentazione, innovazione, ecc). Ci pare inoltre che questo sbilanciamento abbia conseguenze gravi in termini di irrigidimento del sistema dell'istruzione e progressivo indebolimento delle sue dinamiche interne di apertura all'innovazione e al rinnovamento.

Allora forse è necessario che la mentalità dominante negli ambienti scolastici cambi nella direzione di una maggiore attenzione e di un maggiore riconoscimento nei confronti di ogni attività di ricerca e di una più esplicita valorizzazione dello studio, della formazione, dell’aggiornamento. Occorre quindi che l'insegnamento sia sempre di più l'attività di un “professionista riflessivo” - alla Schon, per capirci - impegnato in un costante ripensamento dello scopo e del significato della proprio ruolo, e sempre meno quello di un operatore didattico mero esecutore di mansioni scolastiche, indifferente al contesto più ampio e generale in cui si colloca il suo operato. Diventa fondamentale recuperare pratiche sociali e culturali che oggi rischiano di sparire da troppi ambienti e contesti scolastici (e non solo scolastici): la discussione, il dibattito, l'approfondimento, la lettura (così come la scrittura) di saggi o materiale scientifico di argomento educativo, didattico, pedagogico, solo per fare qualche esempio. Ma questo mutamento comporta da parte degli insegnanti un ripensamento critico sul proprio ruolo sociale, sulle proprie potenzialità e competenze, forse anche sulla propria autentica vocazione lavorativa.