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martedì 28 febbraio 2012

Non uno di meno

Qualche giorno fa si ragionava con una collega su come gestire questo o quel caso un po' (o parecchio) problematico ed è saltata fuori la (solita) convinzione che non ci sia altro sistema possibile che quello del lavoro a tu per tu, dell'intervento ad personam, dell'insegnante dedicato totalmente al singolo, tipo lezione individuale per capirci.

Sorpresa. Sconforto. Rabbia. Quindi, in definitiva, un bel colpo di spugna (o di cancellino se preferite) su tutto quello che può essere variamente riconducibile ad una didattica di tipo attivo, coinvolgente, una didattica operativa, laboratoriale, che si giova della diversità senza esserne turbata, sconvolta, sopraffatta? Temo di si, ancora una volta...

Si fa strada, continua a farsi strada, ad avere cittadinanza nelle nostre scuole, nella mia scuola, questa assurda idea che la "classe" debba essere depurata, filtrata, potabilizzata da elementi spuri, tossici, indigesti. Che esista un'ideale di classe, un modello astratto e teorico al quale la mia classe particolare debba tendere, debba sforzarsi di assomigliare. E che quindi sia mio compito individuare le impurezze, estirpare le erbacce o comunque devitalizzarle, spruzzarle ben bene di anticritogamici per renderle inoffensive. Figuriamoci cercare il diamante dietro qualche opaca ruvidezza, intravedere il principe azzurro al di là delle sgradevoli sembianze del ranocchio...

Non viene detto apertamente ma in modo indiretto, quasi per inciso, per sottinteso. Lo si desume dagli aggettivi, dagli avverbi, dai silenzi. Dagli atteggiamenti. Come se non esistessero (e fossero esistiti) grandi Maestri del lavoro di gruppo, collaborativo e cooperativo, della didattica basata sui problemi o sui progetti, dell'apprendimento tra pari. Grandi Maestri della gestione e della integrazione di ragazzi davvero difficili, davvero 'resistenti' ad ogni tipo di intervento, davvero perduti. Maestri che qualche volta capita anche di incontrare o di ascoltare su internet, e che comunque hanno lasciato insegnamenti, testi preziosi, che debbono assolutamente - non dico essere letti e studiati, magari fosse - ma almeno conosciuti nella loro importanza o per lo meno esistenza. Come se non ci fossero corsi di formazione in cui apprendere tecniche, strategie, modalità e metodologie efficaci. Come se io singolo insegnante non fossi un ignorante bisognoso di continuo studio e di continua ricerca per poter affrontare e sperare di vincere quelle continue sfide che la classe ogni giorno di pone.

... e mi sembra già di sentire l'obiezione: è vero, hai proprio ragione, ma quel ragazzo lì in particolare proprio non si regge, proprio è una boccia persa, proprio non c'è niente da fare ... Balle! Chi pensa questo sarebbe meglio che tacesse, che si vergognasse, che cercasse rapidamente per il suo bene (e per il nostro) un altro mestiere un tantino fuori dalla Scuola, almeno da quella Pubblica. E mi ritrovo a cercare dove affonda le sue radici questa mia idea quasi sacra del gruppo, e in particolare del gruppo classe, in quali esperienze della mia infanzia o adolescenza, forse nelle partite di basket giocate e tifate, forse nelle scorribande per il cortile o per il quartiere, forse nell'epica di certi film amati in gioventù.