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mercoledì 28 gennaio 2009

Effetà

Insegno quest'anno in una scuola particolare. D'accordo, ogni scuola lo è in un certo senso... ma questa veramente. Ad esempio i ragazzi sono quasi tutti di famiglie non-italiane, magari in Italia solo da pochi anni, e non di rado con situazioni problematiche varie.

Scrivo questo post per raccontare la sensazione insolita che ho provato qualche giorno fa, sensazione che ho poi capito essere condivisa anche da altri colleghi, nella mia e in altre scuole.

Ero in una classe e stavo parlando per fornire indicazioni e istruzioni utili per non so quale attività. Fatto sta che a un certo punto mi sono accorto che quel mio parlare era inutile, che le mie parole, alle quali io pretendevo di affidare un certo messaggio definito e particolareggiato, rimbalzavano addosso ai miei giovani ascoltatori, cadevano in terra senza più un alito di vita. Insomma, come spiegavo la sera a mia moglie (insegna anche lei), la sensazione di parlare a sordi, a non udenti. E di quelli che non hanno imparato a leggere le parole sulle labbra.

Mi sono interrogato sul perchè. E ho tentato di abbozzare una risposta.

Il nostro parlare, intendo il parlare di quelli della nostra generazione, dai trenta ai cinquanta per intenderci, è un gergo esclusivo, una lingua elitaria. E' una lingua nata da una frequentazione libresca straordinaria, fatta di decine e decine di libri ogni anno per molti anni. E' una lingua che assomiglia in modo impressionante a un libro stampato: è come se il nostro parlare fosse in realtà la lettura ad alta voce di un testo che, con abilità unica e straordinaria, riusciamo a comporre all'istante nella nostra mente tipografica. E' una lingua che nasce scritta e solo successivmente, e senza modifiche, si fa parlata.

I nostri ascoltatori no. La loro lingua è tutt'altra. Tanto intellettuale e tipografica è la nostra quanto corporale e spontanea è la loro. Noi non la sappiamo parlare la loro lingua. Non è fatta di parole, è un linguaggio non verbale la loro lingua. Siamo spaesati, attoniti, come chi, senza conoscerne la grammatica, vede un sordomuto che gli rivolge un messaggio fatto di gesti e di segni. Fatto di emozioni, di sensazioni.

Forse è arrivato il momento di abbandonare, almeno a scuola, la nostra lingua, il nostro dialetto esclusivo da bibliofili. E di imparare le lingue dei gesti, dei segni, delle immagini.

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