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giovedì 5 febbraio 2009

Lingue

Nella biografia di Blaise Pascal scritta dalla sorella si legge di come egli sia stato formato dal padre:

Gli faceva conoscere in generale che cosa erano le lingue; gli mostrava come fossero state ricondotte ad una serie di regole grammaticali, le quali avevano poi delle eccezioni che venivano sottolineate con cura; e che così si era trovato il mezzo di rendere tutte le lingue facili a comunicarsi da un paese all'altro. Questa idea generale gli apriva lo spirito e gli faceva vedere la ragione delle regole grammaticali di modo che quando dovette studiarle sapeva perchè lo faceva e si applicava proprio alle cose che esigevano maggiore applicazione.

Mi sembra che questo racconto getti un po' di luce sull'acceso dibattito intorno alla (possibile) esclusione della seconda lingua straniera dall'istruzione di base, accompagnata questa esclusione da un corrispondente rafforzamento dell'insegnamento dell'inglese. Penso da tempo che l'insegnamento delle lingue nella scuola di base dovrebbe essere appunto uno studio "delle lingue", ovvero della grammatica di molte lingue in un'ottica trasversale. Meglio affrontare, ad esempio, contemporaneamente lo stesso argomento grammaticale in inglese, francese e spagnolo,  (e perchè no anche tedesco, arabo, cinese, ecc.) piuttosto che affidarlo separatamente a percorsi disciplinari distinti e separati. Perchè separare quello che è intrinsecamente unitario?
Perchè non insegnare ai ragazzi le lingue latine, ad esempio, come un "sistema" unitario?

Il fatto è che la discussione non è tra l'eliminare o il conservare la seconda o la terza lingua, bensì tra l'eliminare o il conservare le ore di quella disciplina (il francese e lo spagnolo in questo caso) e il relativo posto di lavoro. Impossibile risollevare il tenore della discussione e del confronto?

4 commenti:

  1. caro marco ,
    ho letto con molto interesse il tuo pezzo sull'insegnamento delle lingue e quello sul linguaggio dei giovani e voglio esprimerti le mie impressioni al riguardo.
    Il fatto che i giovani,gli adolescenti in particolare, parlino in modo così diverso dalle persone della nostra età è una conseguenza INEVITABILE di un processo che i linguisti chiamano "EVOLUZIONE LINGUISTICA".
    Le lingue ,infatti, sono organismi vivi e,come tale, soggetti a continui mutamenti nel tempo. Anche noi parliamo un italiano diverso da quello che si parlava ai tempi Dante o di Manzoni e lo stesso vale per le lingue antiche come il latino e il greco : il latino di Cicerone , anche nell'uso scritto , è diverso da quello di Plauto e le differenze diventano ancora più marcate nell'uso parlato. Del resto, in ogni epoca e in tutte le lingue , c'è e ci sarà sempre una forte differenza tra lo scritto e il parlato.
    Inoltre ,anche nel parlato, ci sono delle differenze che dipendono da fattori come il contesto, l'interlocutore,il tipo di rapporto che abbiamo con lui e così via: ad es.il nostro modo di eprimerci quando siamo con gli amici sarà diverso da quello che usiamo con un datore di lavoro oppure con un negoziante ,un collega ecc. e in tutti questi casi il parlato varierà a seconda del maggiore o minore grado di familiarità che abbiamo con quella persona. Gli adolescenti sono abituati ad usare un linguaggio molto informale non solo con i loro coetanei ma anche con gli adulti senza preoccuparsi importa della grammatica o della sintassi perchè quello che interessa loro è l'efficacia e la rapidità della comunicazione.
    Per quelli della nostra età è difficile conformarsi ad un uso del genere perchè ci è stato insegnato a parlare e a scrivere rispettando tutte le norme:io stesso ,per es.,quando ho iniziato ad usare il cellulare, mi rifiutavo di scrivere gli sms con le forme abbreviate come "k" o "x"al posto di "ch" e di "per" con risultati per me alquanto bizzarri come "OKKIO X OKKIO,DENTE X DENTE". Col tempo , per praticità(e soprattutto per economia),mi sono adeguato ma nel parlato continuo ad esprimermi come ho imparato a scuola e attraverso lettura cercando ,però, di adattare la lingua all'interlocutore e al contesto.
    Recentemente , parlando al telefono con un amico mio coetaneo,gli ho sentito pronunciare un esempio di evoluzione linguistica che l'uso delle "chat" ha contribuito ad accelerare ancora di più; infatti ad un certo punto della conversazione il mio amico ha detto:"Hai fatto bene a FONARE, perchè ecc. ecc.". Poichè lui comunica spesso via chat con i suoi amici non mi sono sorpreso molto che abbia usato " FONARE " al posto di " TELE-FONARE" eppure non è un adolescente ,ha un elevato livello culturale e di
    istruzione e quasi 39 anni.

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  3. purtroppoTornando al discorso sui diversi registri della lingua parlata,il fatto che in alcuni contesti si parli
    trascurando un po'la grammatica e la sintassi è normale ,anzi, naturale e che lo facciano gli adolescenti in tutti i contesti è ormai scontato .
    Tuttavia ,sempre più spesso, anche i cosiddetti “professionisti dell’informazione” parlano in maniera alquanto, diciamo così, “disinvolta” dal punto di vista grammaticale in contesti in cui dovrebbero fare attenzione non solo al contenuto ma anche alla forma del discorso.
    Chi lavora nel mondo dell’informazione,infatti,...

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  4. Tornando al discorso sui diversi registri della lingua parlata,il fatto che in alcuni contesti si parli trascurando un po' la grammatica e la sintassi è normale ,anzi, naturale e che lo facciano gli adolescenti in tutti i contesti è ormai scontato .
    Tuttavia ,sempre più spesso, anche i cosiddetti “professionisti dell’informazione” parlano in maniera alquanto, diciamo così, “disinvolta” dal punto di vista grammaticale in contesti in cui dovrebbero fare attenzione non solo al contenuto ma anche alla forma del discorso.
    Chi lavora nel mondo dell’informazione,infatti,dovrebbe sempre tenere ben presente che il suo messaggio è potenzialmente destinato ad un numero molto elevato di interlocutori per i quali, spesso, rappresenta un modello affidabile di comunicazione verbale. Si presuppone,infatti,che un professionista della comunicazione abbia una preparazione di elevato livello linguistico e culturale; invece non è raro sentire giornalisti televisivi che pronunciano “ èdile” anzichè “edìle”cioè con l’accento sulla terzultima sillaba e non, correttamente, sulla penultima,oppure “persuàdere” invece che “persuadère” e così via.
    Anche sulla carta stampata è possibile trovare ,non di rado, svarioni come fù ,con l’accento, che invece NON è necessario (e ,quindi, scorretto anzi *scorrettissimo*). In casi analoghi si può sempre pensare ad un errore di stampa o di battitura ma in questo caso specifico l’ipotesi mi pare poco plausibile perchè con gli accenti si sbaglia più per difetto che per eccesso; in parole povere è più facile dimenticarli che ricordarsi di aggiungerli, anche dove sono necessari.
    Quindi, se i modelli di comunicazione verbale sono scorretti, non c’è da stupirsi se molte persone,anche con un livello di istruzione medio – alto, parlano (e scrivono) “con i piedi”.

    Chi fosse interessato ai mutamenti e agli sviluppi della lingua italiana contemporanea può consultare il volume di Paolo D’Achille “L’ ITALIANO CONTEMPORANEO” èdito da IL MULINO – Bologna
    Interessante per i rapporti tra la lingua italiana e i dialetti è anche il saggio di Carla Marcato “DIALETTO, DIALETTI, ITALIANO “, ed. IL MULINO.

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