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domenica 15 settembre 2013

Scienze o tecnoscienze? - 1/3



Dove va la Scuola italiana di base? O più precisamente: dove va la Scuola italiana di base - per esempio la Scuola Primaria, per intenderci - con riferimento alle discipline dell’area scientifico-tecnologica? Sono domande che difficilmente possono essere circoscritte alla cerchia degli addetti ai lavori o dei cosidetti esperti ma che interpellano, soprattutto in questa nostra stagione di ripensamento critico del cammino finora percorso, sia a livello generale che per il settore specifico dell’istruzione, ogni persona che si consideri nel novero degli ‘uomini di buona volontà’. Le osservazioni che formano questo breve contributo vogliono offrire al lettore qualche spunto di riflessione sulla fase che stiamo attraversando e suggerire, con particolare riferimento al tema della ricerca didattica e pedagogica, alcune possibili direzioni di marcia.

Riflettori accesi sulla ricerca

Nel recente documento del MIUR che illustra le misure di accompagnamento delle nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’struzione - cioè il testo fondamentale di riferimento per l’elaborazione del curricolo - si insiste in modo particolare sulle attività di “ricerca attiva”, indicate come un elemento essenziale per promuovere e sostenere l’implementazione delle stesse Indicazioni nella pratica didattica. “Le istituzioni scolastiche - si legge in un passaggio del documento - non sono semplicemente chiamate a capire e fare buon uso delle Indicazioni, ma viene loro richiesto un lavoro di verifica, di interpretazione critica, di sviluppo di ulteriori piste di azione”. Viene così sottolineata la dimensione critica, riflessiva e generativa di ogni attività di ricerca, e particolarmente quella svolta in ambito scolastico. Ma cosa si deve intendere in effetti per ‘ricerca’ riferita ad una qualche disciplina o materia scolastica? Ci sembra opportuno dedicare alcune righe a chiarire il senso di questa espressione.

La ricerca in campo didattico si sviluppa tradizionalmente su più livelli, tra loro variamente interconnessi e comunicanti: proponiamo qui una schematizzazione basata sul riconoscimento di tre livelli. Un primo livello è quello della ‘pratica didattica’ o della “didassi”; esso comprende quelle ricerche o proposte che riguardano il lavoro d’aula: unità didattiche, modi o metodi di insegnamento, programmazioni, guide o dispense, manuali, libri di testo, ecc. Ad un secondo livello - gerarchicamente superiore rispetto al precedente - possiamo collocare la ‘ricerca didattica’ vera e propria, relativa cioè a quelle riflessioni, sopra e intorno alla didassi, caratterizzate da un apparato concettuale e teorico di tipo più accurato e formale. Se al primo livello il problema fondamentale è “come insegnare?”, a questo secondo livello - che potremmo anche chiamare della “metodologia disciplinare” la domanda diventa “come pensare l’insegnamento?”.

Importanza della ricerca disciplinare

Ad un livello superiore rispetto sia alla ‘pratica didattica’ sia alla ‘ricerca didattica’ riferite ad una disciplina si colloca la ‘ricerca disciplinare’ o ‘ricerca epistemologica’, che rappresente il costante punto di riferimento ancorchè dinamico della ricerca dei livelli sottostanti. E’ la ricerca e la riflessione intorno alla disciplina in quanto tale (i suoi metodi di indagine, i suoi linguaggi, i suoi nuclei fondamentali, ecc) e sulle modalità più efficaci per una sua trasposizione in materia scolastica.

A questo livello le domande o i problemi della ricerca sono più radicali e fondamentali: quali sono gli elementi fondamentali che costituiscono lo “scheletro” o la “struttura” della disciplina? quali sono le loro specifiche forme di pensiero? quali i problemi che li contraddistinguono? quali i metodi caratteristici per la loro soluzione? quale la portata e il ruolo nella storia del pensiero umano? quale il loro significato culturale e sociale? ecc. Operare delle scelte su che cosa insegnare, come farlo e in funzione di quali obiettivi formativi richiede infatti, in generale, il rispetto di un principio di ‘aderenza epistemologica’ al sapere e l’individuazione di condizioni di possibilità dell’apprendimento.

Inoltre, per realizzare una efficace trasposizione e implementazione nella pratica didattica, la ricerca disciplinare si occupa di individuare quei “contesti didattici” in grado di dare “senso” alle conoscenze in essi implicite e tali da favorire l’esercizio di specifiche forme di pensiero da parte dell’allievo.

Diciamo subito chiaramente che, senza nulla togliere al grande valore e all’importanza delle ricerche nel campo della didassi e della metodologia didattica, cioè i primi due livelli della nostra schematizzazione, crediamo non venga mai sufficientemente riconosciuto il ruolo fondamentale della ricerca disciplinare. Essa soltanto, infatti, può mantenere viva e continuamente aggiornata la conoscenza di quelli che sono i nuclei fondanti (o epistemi) della disciplina, veri e propri pilastri sui quali possono poggiare ricerche e riflessioni inerenti la trasposizione della disciplina in sapere scolastico e i sistemi più efficaci per il suo insegnamento. Riconoscere quindi pienamente il senso e il valore di questa ricerca significa in definitiva assumere sull’insegnamento un atteggiamento realmente ‘epistemocentrico’.

Chiarito il senso e le finalità fondamentali della ricerca attiva a cui si richiama il documento ministeriale consideriamo più da vicino l’area oggetto del nostro interesse - quella scientifico tecnologica - e concentriamo l’attenzione, per cominciare, sul ‘versante’ tecnologico.


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